Un comitato d’affari composto da politici locali, imprenditori, faccendieri e mafiosi teneva in scacco Messina condizionando l’attività amministrativa della città. Una storia di “ordinario” malaffare scoperta dalla Dda guidata da Maurizio De Lucia che ha ottenuto dal gip 13 misure cautelari. Personaggio chiave dell’inchiesta denominata “Terzo Livello” era l’ex presidente del Consiglio Comunale Emilia Barrile. Prima nel centrosinistra, poi passata al centrodestra per transitare alla fine a una lista civica sua, quella de i Leali, è risultata la più votata alle ultime elezioni comunali dove ha preso 2800 preferenze. La lista, però, non ha superato lo sbarramento del 5% e Barrile non è più tornata al Consiglio Comunale. La donna, che è ai domiciliari, é accusata di associazione a delinquere, abuso d’ufficio, atti contrari a doveri ufficio e violazione dei doveri di imparzialità nei confronti della pubblica amministrazione. Tra gli indagati anche l’imprenditore della grande distribuzione Antonio Fiorino e il direttore generale della municipalizzata che gestisce i trasporti pubblici in città.
Secondo gli inquirenti, utilizzando il potere che le derivava dal ruolo, e facendo pressioni su dirigenti e funzionari comunali, Barrile agevolava le pratiche degli imprenditori che a lei si rivolgevano: come Fiorino, che sarebbe stato aiutato nel disbrigo delle pratiche amministrative e tutelato da imprese concorrenti. Barile avrebbe ostacolato l’apertura di un esercizio commerciale nella zona dell’imprenditore amico. “Le indagini – scrive il gip che ha disposto le misure cautelari – rivelano la consuetudine della Barrile allo sfruttamento del potere di influenza che deriva dal ruolo pubblico per esercitare pressioni su dirigenti e funzionari del Comune per garantire il pronto soddisfacimento di interessi privati facenti capo a un ristretto gruppo di imprenditori cittadini a lei collegati da un inquietante logica del do ut des, essenzialmente costituito con prospettiva di ritorno sia elettorale che di assunzioni di parenti vicini presso attività imprenditoriali”. Secondo gli investigatori, inoltre, la donna era il vero dominus di due coop, la Peloritana Servizi e la Universo Ambiente, che gestiva attraverso prestanomi. Grazie ad amicizie, come quella con un personaggio già coinvolto in un blitz antimafia con l’accusa di concorso in associazione mafiosa, riusciva a gestire alcuni servizi di ristorazione e di fornitura di steward per il parcheggio all’interno dello stadio cittadino.